sotto la pioggia

nudo. accovacciato poggiando sui talloni. la testa rivolta verso il braccio appoggiata alle braccia incrociate sulle ginocchia, gli occhi premuti sugli avambracci. buio. sensazione di vastità circostante. pioggia leggera e tiepida picchietta sulla schiena. il rumore è sordo ma leggero. benessere: tanti piccoli aghi tiepidi dalla punta rotonda picchiettano sulla pelle, massaggiano riscaldano e solleticano leggermente. la temperatura dell’acqua va degradando secondo una linea morbida seppur inquietante/preoccupante. inquieta perché non è contemplato nelle esperienze naturali che la temperatura della pioggia vari in maniera percepibile e quindi c’è sotto qualcosa di non-conosciuto la cui non-comprensione distilla ansia. preoccupante perché se continua a seguire una curvatura di variazione così gaussiana tra poco farà freddo e umido. mi sento come appena nato, o tosto giunto su un pianeta lontano, in un dimensione dell’essere poco conosciuta tuttavia la calma mischiata a un vago sentore di spleen sono le emozioni che conducono il gioco. sono completamente ripiegato su me stesso come una piega nel tessuto dello spazio-tempo. quando il calore si trasforma in tiepido ed inizia poi a volgere verso il punto di non-gradevolezza della curva sollevo la testa ed apro piano gli occhi. quello che vedo rappresenta ciò che percepivo pochi istanti prima. sono al centro di una piazza immensa, potrebbe essere quella della concordia piuttosto che quella rossa. l’orizzonte è lungo e grigio, in fondo lo skyline è basso, schiacciato. sono vagamente distinguibili in lontananza degli edifici grigi come grigia è tutta l’atmosfera circostante. l’aria è carica di pioggia ed elettricità. una densa nebbiolina d’acqua vaporizzata mista ad una leggera foschia di acqua ancor più vaporizzata rende il clima dolcemente irreale. la pavimentazione e di marmo grigio, il pensiero corre verso la concordia, e lucido ricoperto da quei pochi millimetri d’acqua necessari e sufficienti ad abbracciare con delicate cerchi concentrici ogni nuova goccia dell’infinito sciame che casca del cielo alto e venato da strati di grigio più scuro tra onde di pallido opale biancastro. ora fa veramente freddo, l’acqua sta per diventare gelata, mi guardo intorno per dare un ultima occhiata prima di andare via. nudo. accovacciato poggiando sui talloni. la testa rivolta verso il braccio appoggiata alle braccia incrociate sulle ginocchia, gli occhi premuti sugli avambracci. buio. poi sollevo veramente il capo ed apro gli occhi su percezioni reali, materiche ma non molto più luminose. sono in uno spazio angusto, accoccolato nell’avvallamento di un pavimento composto da mattonelle beige crepate di nero, in mezzo alla rosa delle spaccature diagonali delle piastrelle create ad arte per permettere il deflusso dell’acqua verso un piccolo scolo d’acciaio esattamente in perpendicolare con “quel punto del perineo [tra il sesso e l’ano] che il Tantra chiama Chakra Muladhara”. una volta completato il movimento di distensione del collo la mia linea visiva abbraccia a poco meno di un metro un wc rivolto verso di me ed un lavandino sul lato destro ruotato di 90° ed appoggiato alla parete che crea l’angolo con quella che ho di fronte. la stanza non contiene più nulla, neanche spazio e sarà larga in tutto pochi metri quadrati. il piccolo scaldabagno bianco sopra la mia testa è attaccato faticosamente al muro, sopra la linea delle piastrelle, come la stanza è attaccata alla parete della casa, sospesa a quattro metri dal suolo da lontano assomiglia ad una protuberanza maligna cresciuta sulla pelle di mattoni, risalta come un parassita sul perimetro del casolare, parallelepipedo 3D assolutamente squadrato.

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